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Vizio di Forma – Thomas Pynchon

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Recensione di Raffaella Foresti

Inherent Vice (mi rifiuto di nominarlo secondo la traduzione italiana “Vizio di forma” – vi spiegherò poi il perché) è l’ultimo romanzo pubblicato da Thomas Pynchon. Si completa così, con l’inserimento del tassello centrale (il racconto è ambientato nei primi anni Settanta), la cosiddetta trilogia hippie californiana del misterioso scrittore americano, dopo L’incanto del lotto 49 (pubblicato e ambientato del 1966) e Vineland (pubblicato nel 1990 ma ambientato nel 1984). D’altra parte, come ormai sapete, Pynchon è il padre del postmoderno, e certo non avrebbe potuto seguire un rigoroso ordine cronologico, vi pare?

Si tratta di un romanzo che inizia e si sviluppa secondo gli schemi del più tradizionale dei noir e rappresenta, allo stesso tempo, un classico della scrittura pynchoniana.

Larry “Doc” Sportello è il riuscitissimo personaggio centrale della storia. É un investigatore privato (anche questo, un topos della letteratura noir: il detective che può contare esclusivamente sui propri mezzi e deve rendere conto solo a sé stesso, per questo più disinteressato, libero ed altruista di qualsiasi agente in forze all’ordine costituito) perennemente strafatto, titolare della LSD Indagini (“che, come spiegava quando qualcuno glielo chiedeva, cioè non spesso, significava: Localizzazione, Sorveglianza, Discrezione”). Quando vuole avere un’aria professionale raccoglie i capelli in una coda di cavallo ben stretta, la blocca con un fermaglio di cuoio e ci posa sopra un borsalino d’epoca. Trentenne, ex-surfista profondamente hippy, vive sulla spiaggia e ha una particolare propensione per i casi più complicati e mal pagati, oltre che per le giovani donne in difficoltà eternamente sfuggenti. Ha una relazione sentimentale più o meno stabile con l’assistente Procuratore Distrettuale Penny Kimball ed un peculiare legame di amore-odio con uno sbirro, collezionista di filo spinato, chiamato “Bigfoot” per via del suo stile di irruzione preferito (un rapporto che ricorda molto quello tra il fricchettone Zoyd Wheelert e l’agente antinarcotici teledipendente Hector Zuniga del romanzo Vineland).

Non mi soffermo sul racconto della trama che, pur mantenendo forti tratti postmoderni, si sviluppa in maniera moderatamente lineare. Questo vi lascia la tranquillità per concentrarvi su altro.

Ad esempio sulla marea dei dickensiani personaggi di contorno, di cui vi cito per brevità solo Spike, un reduce del Vietnam accettato dagli abitanti della spiaggia grazie alla Guzzi perennemente da riassettare (sono convinta che Pynchon ami l’Italia, il Paese straniero a cui si fa più riferimento nella sua produzione letteraria).

O su ciò che, probabilmente, a Pynchon stava più a cuore quando ha scritto questo romanzo: non tanto raccontare un momento storico (lo stile da cartone animato mal si confarebbe, in tal senso) quanto usare i detriti culturali che ha generato per guardare oltre, in profondità.

Concludo con una curiosità, che è anche una polemica, che è anche uno spunto di riflessione: il titolo originale “Inherent Vice”, erroneamente reso in italiano come “Vizio di Forma”, è un termine preso in prestito dal vocabolario legale dei trasporti marittimi e delle assicurazioni. Rappresenta quella particolare proprietà fisica di una merce tale per cui essa tenderà a subire deterioramenti o modificazioni senza cause esterne (ad esempio l’instabilità di una certa sostanza chimica, che potrebbe causare esplosioni per autocombustione, pur con il massimo grado di diligenza del trasportatore). Si tratta della qualità innata di un bene, di una sua “problematicità intrinseca”, potremmo dire in italiano, che in genere non viene coperta da assicurazione. Capite bene che, letto così, il titolo assume un senso ed un significato completamente diverso, molto più evocativo di quello che è il vero tema del romanzo.

Questa problematicità intrinseca potrebbe riguardare la città di Los Angeles, o il periodo storico degli anni Settanta, o, come io credo, gli stessi USA intesi come “occidentalità” e l’uomo nel suo percorso attraverso la storia.

Il bello di Pynchon e dei più grandi maestri della letteratura, in genere poco amati dai lettori maldisposti alla rilettura, è che i loro romanzi non finiscono mai. Quando si saranno concluse, all’ultima pagina, le divertenti avventure di Doc Sportello, solo allora, credetemi, il romanzo inizierà a raccontare la sua storia.

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foresti@raccontopostmoderno.com
twitter@alienimetropoli


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